mercoledì 16 maggio 2018

VINO nero tradizionale di GEORGIA



Così lo scrive Pierre Galet, che tra l’altro classifica quest’uva come tintorea, per cui forse più adatta a tingere qualche altro vitigno, che a farsi tingere. C’è però una certezza: è originario di Kakheti (Georgia), ma lo si coltiva in Moldavia, Crimea, Turkmenistan, Tagikistan, Azerbaijan, Uzbekistan e poi un po’ qua e in là in quella che una volta era l’URSS. Poi approfondendo, per pura mania enologica, e non certo per la fama delle zone sopra elencate, si scopre che di saperavi  ce ne è più di uno: dal martali saperavi, il migliore, fino al clone 359 e intermedi come gouriisse e kartlisse. Visto che quelle regioni viticole non è che siano quanto di meglio si possa trovare in una carta dei vini, ci sta che il saperavi (uva e vino) potesse essere alquanto standard, e forse ha appeal perché georgiano e non perché raffinatamente georgico. Il meglio del suo sé lo offre con la concentrazione cromatica, forse perché è tragicamente poco produttivo: circa 25 hl/ha, un ritmo da carestia. Questo spiega perché lo miscelavano (e miscelano) con uve bianche, così da schiarirlo nel massiccio colore e diluire qualche nota erbacea non proprio chic. Ne hanno parlato in tanti, ne parliamo anche noi, per quella scombinata maniacalità del voler essere accondiscendenti anche con qualcosa che poi è meteora, e ci chiediamo: ma faremo bene? Oddio, certo che del male non farem! Indi ecco a voi il Saperavi: il profumo è un’entrata a gamba tesa nell’erbaceo, un’entrata non vista dell’arbitro, per cui ha fatto il proprio effetto e stranisce in un fruttato di frutti a bacca scura, poco distinguibili, poco isolabili, ma nella loro miscellanea si esteriorizzano odorosamente con buona eleganza. Danno anche l’idea di macerazione, di pressatura, che sia anche questo un po’ anforato come vino? Dopo 8 anni ha perso il suo indirizzo scontrosamente tannico, ammesso e non concesso che lo avesse, e noi siamo certi che no. Ha gusto con volume liquido denso, ma non così saporoso. Fortunatamente qualcosa di interiore riesce a non far sbocciare la gradazione alcolica, ciò lascia spazio vitale all’effetto avvolgente con timor di stucchevolezza. Non siamo di fronte a qualcosa di oustanding, a quel qualcosa che… se non lo degusti ti manca un tassello di esperienza. È un vino che ha ragione di esistere perché il finale di bocca è insolito: foglie verdi aromatiche, essenze un po’ oleose, un’amaricante prugna affumicata, un qualcosa di carbone. Che dire? Se vi capita, assaggiatelo, però se le papille s’irrigidiscono, non datecene la colpa.


Il vino non manca mai sulla tavola georgiana ed il brindisi durante il banchetto è un rituale con proprie regole che affonda le radici nella tradizione e cultura georgiane. Appena arrivato a Tbilisi, l’ospite viene accolto dall’enorme statua di Kartlis Deda (Madre Georgia) che, dalle colline della capitale, dà il benvenuto agli amici offrendo loro, con una mano, una coppa di vino mentre, nell’altra, tiene una spada per combattere i nemici. In Georgia sono prodotti vini bianchi e rossi. Renato Loss, enologo trentino arrivato in Georgia una decina di anni fa in qualità di consulente per alcune aziende vitivinicole georgiane, racconta ad Osservatorio che “il Paese ha sempre puntato sul vino rosso", ma aggiunge che "i bianchi potrebbero essere più interessanti, specialmente quelli prodotti nella zona del Kakheti, dove c’è una sensibile escursione termica tra notte e giorno che determina gli aromi”. Tra i principali vini bianchi prodotti in Georgia vi sono il tsinandali, ottenuto dalla miscela di uve rkatsiteli e mtsvane; il rkatsiteli, ottenuto dall’omonima uva; il pirosmani, vino semidolce dedicato all’omonimo pittore georgiano; il mtsvani, vino secco fatto con l’omonima uva. Tra i rossi, i più comuni sono il saperavi, vino dal gusto armonioso e piacevole durezza; il kindzmarauli, vino semi-dolce ottenuto dalle uve saperavi; il mukuzani, vino secco da uve saperavi coltivate a Mukuzani, in Kakheti; il khvanchkara, vino semi-dolce fatto con uve muszhuretuli e alexandruli coltivate nella regione di Racha-Lechkumi. Secondo molti questo era il vino preferito di Stalin. Per farsi un’idea del numero di varietà autoctone di vitigni della Georgia bisogna fare riferimento all’ampelografia – cioè lo studio e la classificazione delle varietà dei vitigni - della Georgia curata da Ketskhoveli, Ramishvili e Tabidze e pubblicata nel 1960. La ricerca ha identificato e catalogato 524 varietà autoctone di uve in Georgia. David Magradze, esperto dell’Istituto di orticultura, viticultura ed enologia di Tbilisi spiega ad Osservatorio che esiste un’altra classificazione stilata durante l’Unione Sovietica dal titolo “Ampelografia dell’Urss”. Questa pubblicazione “in dieci volumi, stilata tra il 1946 e il 1970, identifica 414 varietà di vite in Georgia, 200 in Azerbaijan e 90 in Armenia”. Renato Loss conferma ad Osservatorio che “in entrambi i casi, tali numeri sono un’enormità. Basti considerare che l’Italia ha una sessantina di varietà autoctone e la Francia qualcuna in meno”. Solitamente in ogni regione della Georgia vengono coltivate specifiche varietà di uve e spesso i vini prodotti acquisiscono il loro nome a seconda del luogo dove le uve vengono coltivate. Ad esempio il vino bianco tsinandali prende il nome dall’omonima località nella regione del Kakheti e così per i vini kindzmarauli, mukhuzani, manavi, ecc. “Secondo il censimento del 2004”, racconta Magradze, “le aree di maggior coltivazione della vite in Georgia sono le regioni di Kakheti (con il 52% dei vigneti), Imereti (22%), Kartli (11%), Racha-Lechkumi (4-5%), Guria, Samegrelo e Adjara (2-3%)”.
Una lista di varietà di uve raccomandate per la coltivazione nelle specifiche regioni in Georgia – frutto di uno studio di ricercatori ed enologi – fu inclusa nel 1998 come appendice alla legge georgiana per il vino e l’uva. Tale lista – che fu rimossa nel 2003 – raccomanda la coltivazione di 48 varietà di uve, tra queste 34 per fare vino e il resto per uva da tavolo. Tra le varietà raccomandate per la vinificazione, sei sono francesi mentre le altre sono autoctone.


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