Così lo scrive Pierre Galet, che tra l’altro classifica quest’uva
come tintorea, per cui forse più adatta a tingere qualche altro vitigno,
che a farsi tingere. C’è però una certezza: è originario di Kakheti
(Georgia), ma lo si coltiva in Moldavia, Crimea, Turkmenistan,
Tagikistan, Azerbaijan, Uzbekistan e poi un po’ qua e in là in quella
che una volta era l’URSS. Poi approfondendo, per pura mania enologica, e non certo per la fama
delle zone sopra elencate, si scopre che di saperavi ce ne è più di
uno: dal martali saperavi, il migliore, fino al clone 359 e intermedi
come gouriisse e kartlisse. Visto che quelle regioni viticole non è che siano quanto di meglio si
possa trovare in una carta dei vini, ci sta che il saperavi (uva e
vino) potesse essere alquanto standard, e forse ha appeal perché
georgiano e non perché raffinatamente georgico. Il meglio del suo sé lo offre con la concentrazione cromatica, forse
perché è tragicamente poco produttivo: circa 25 hl/ha, un ritmo da
carestia. Questo spiega perché lo miscelavano (e miscelano) con uve
bianche, così da schiarirlo nel massiccio colore e diluire qualche nota
erbacea non proprio chic. Ne
hanno parlato in tanti, ne parliamo anche noi, per quella scombinata
maniacalità del voler essere accondiscendenti anche con qualcosa che poi
è meteora, e ci chiediamo: ma faremo bene? Oddio, certo che del male
non farem! Indi ecco a voi il Saperavi: il profumo è un’entrata a gamba tesa nell’erbaceo, un’entrata non
vista dell’arbitro, per cui ha fatto il proprio effetto e stranisce in
un fruttato di frutti a bacca scura, poco distinguibili, poco isolabili,
ma nella loro miscellanea si esteriorizzano odorosamente con buona
eleganza. Danno anche l’idea di macerazione, di pressatura, che sia
anche questo un po’ anforato come vino? Dopo 8 anni ha perso il suo
indirizzo scontrosamente tannico, ammesso e non concesso che lo avesse, e
noi siamo certi che no. Ha gusto con volume liquido denso, ma non così
saporoso. Fortunatamente qualcosa di interiore riesce a non far
sbocciare la gradazione alcolica, ciò lascia spazio vitale all’effetto
avvolgente con timor di stucchevolezza. Non siamo di fronte a qualcosa
di oustanding, a quel qualcosa che… se non lo degusti ti manca un
tassello di esperienza. È un vino che ha ragione di esistere perché il
finale di bocca è insolito: foglie verdi aromatiche, essenze un po’
oleose, un’amaricante prugna affumicata, un qualcosa di carbone. Che
dire? Se vi capita, assaggiatelo, però se le papille s’irrigidiscono,
non datecene la colpa.
Il vino non manca mai sulla tavola georgiana ed
il brindisi durante il banchetto è un rituale con proprie regole che
affonda le radici nella tradizione e cultura georgiane. Appena arrivato a
Tbilisi, l’ospite viene accolto dall’enorme statua di Kartlis Deda
(Madre Georgia) che, dalle colline della capitale, dà il benvenuto agli
amici offrendo loro, con una mano, una coppa di vino mentre,
nell’altra, tiene una spada per combattere i nemici. In
Georgia sono prodotti vini bianchi e rossi. Renato Loss, enologo
trentino arrivato in Georgia una decina di anni fa in qualità di
consulente per alcune aziende vitivinicole georgiane, racconta ad Osservatorio
che “il Paese ha sempre puntato sul vino rosso", ma aggiunge che "i
bianchi potrebbero essere più interessanti, specialmente quelli prodotti
nella zona del Kakheti, dove c’è una sensibile escursione termica tra
notte e giorno che determina gli aromi”. Tra i principali vini bianchi prodotti in Georgia vi sono il tsinandali, ottenuto dalla miscela di uve rkatsiteli e mtsvane; il rkatsiteli, ottenuto dall’omonima uva; il pirosmani, vino semidolce dedicato all’omonimo pittore georgiano; il mtsvani, vino secco fatto con l’omonima uva. Tra i rossi, i più comuni sono il saperavi, vino dal gusto armonioso e piacevole durezza; il kindzmarauli, vino semi-dolce ottenuto dalle uve saperavi; il mukuzani, vino secco da uve saperavi coltivate a Mukuzani, in Kakheti; il khvanchkara, vino semi-dolce fatto con uve muszhuretuli e alexandruli coltivate nella regione di Racha-Lechkumi. Secondo molti questo era il vino preferito di Stalin. Per
farsi un’idea del numero di varietà autoctone di vitigni della Georgia
bisogna fare riferimento all’ampelografia – cioè lo studio e la
classificazione delle varietà dei vitigni - della Georgia curata da
Ketskhoveli, Ramishvili e Tabidze e pubblicata nel 1960. La ricerca ha
identificato e catalogato 524 varietà autoctone di uve in Georgia. David
Magradze, esperto dell’Istituto di orticultura, viticultura ed enologia
di Tbilisi spiega ad Osservatorio che esiste un’altra
classificazione stilata durante l’Unione Sovietica dal titolo
“Ampelografia dell’Urss”. Questa pubblicazione “in dieci volumi, stilata
tra il 1946 e il 1970, identifica 414 varietà di vite in Georgia, 200
in Azerbaijan e 90 in Armenia”. Renato Loss conferma ad Osservatorio
che “in entrambi i casi, tali numeri sono un’enormità. Basti
considerare che l’Italia ha una sessantina di varietà autoctone e la
Francia qualcuna in meno”. Solitamente in
ogni regione della Georgia vengono coltivate specifiche varietà di uve e
spesso i vini prodotti acquisiscono il loro nome a seconda del luogo
dove le uve vengono coltivate. Ad esempio il vino bianco tsinandali prende il nome dall’omonima località nella regione del Kakheti e così per i vini kindzmarauli, mukhuzani, manavi, ecc. “Secondo
il censimento del 2004”, racconta Magradze, “le aree di maggior
coltivazione della vite in Georgia sono le regioni di Kakheti (con il
52% dei vigneti), Imereti (22%), Kartli (11%), Racha-Lechkumi (4-5%),
Guria, Samegrelo e Adjara (2-3%)”.
Una lista
di varietà di uve raccomandate per la coltivazione nelle specifiche
regioni in Georgia – frutto di uno studio di ricercatori ed enologi – fu
inclusa nel 1998 come appendice alla legge georgiana per il vino e
l’uva. Tale lista – che fu rimossa nel 2003 – raccomanda la coltivazione
di 48 varietà di uve, tra queste 34 per fare vino e il resto per uva da
tavolo. Tra le varietà raccomandate per la vinificazione, sei sono
francesi mentre le altre sono autoctone.
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